"che basta un filo di vento
per venirci a guidare
perché siamo naviganti
senza navigare
mai."

lunedì 24 gennaio 2011

A parte l'inconcludenza, fa dispiacere la pochezza

Invecchiando sono portata a pensare sempre di più che quello che ciascuno ottiene dalla vita sia il risultato di un mix tra fortuna e capacità di essere creativi, ossia di porsi obiettivi che vadano un pochino al di là delle proprie forze. Le scelte che le persone fanno dipendono da quello che credono di poter realizzare, dalle cose che si concedono di sperimentare, dalle porte che decidono di aprire o di tenere chiuse. Non dico che non esistano vincoli o forme di condizionamento (spesso più personali che fisiche o sociali). Però nello spazio di azione, seppur piccolo e insignificante, che le persone possiedono esiste sempre la possibilità di sentire di fare un passo avanti. Sul fatto che poi questo abbia una valenza del tutto personale, difficile da definire a priori, siamo d'accordo.

Allora, in tutto questo, penso a cosa voglio insegnare ai miei figli. Penso che soprattutto dovranno sapere che i loro genitori hanno dei limiti. Che gli insegneremo delle cose è certo; che qualcuna di queste sarà il risultato di un pensiero esplicito e molte altre di un lavorio mentale implicito è sicuro. Però vorrei soprattutto che capissero che la responsabilità di capire cosa c'è di buono, cosa è giusto per sè e cosa manca, è nelle loro mani.

Sono anche praticamente certa che penserò tutto questo almeno fino a che non saranno adolescenti.

mercoledì 12 gennaio 2011

London

La prima volta è quella delle sensazioni forti, della percezione di grandezza, di folla, di diverso. Capita che pensi che gli odori sono davvero strani, troppo forti, pungenti e insistenti. È quella in cui ti distruggi i piedi per vedere tutto. Ti capita di guardare male chi si avvicina perchè ti ha visto con una cartina in mano e vuole chiederti se ti servono informazioni. Fai un casino assurdo con le sterline e anche se non capisci un acca di inglese, parlano tutti così bene che ti senti meno scema. Scopri che italiani, spagnoli, greci, turchi... una razza, una fazza.

La seconda volta è quella degli attentati (sventati) agli aerei. È quella in cui scegli l'albergo per dormire perchè - che cavolo - la prima non hai chiuso occhio. È quella dell'approfondimento: la Tate, il Cabinet War Rooms e i punti della città in cui ci sono pochi turisti. È quando hai 4 guide e 3 riviste Meridiani. Ti stupisci quando vedi un fornello e la testa di 3 persone che spunta da una botola aperta sull'asfalto. È quando Camden Town ti fa un'impressione pazzesca, da mondo parallelo.

La terza volta è quando a Camden Town ci dormi perchè è decisamente il quartiere più bello di tutti. È la volta della quadrupla; quando ti porti i figli, i genitori e gli amici dei genitori. Senti che la città non è più immensa, strana, sconosciuta. Ti danno fastidio i commenti da "italiano", gli odori sono familiari e anche le anatre cinesi fanno un pò meno pena. È quando ti concedi il lusso di un giro sul sightseeing; è quando ti piace vedere la faccia stupita delle altre persone. Sorridi al pensiero del signore inglese, ma di origine francese che parlava pure italiano, che ti ha tampinato in metropolitana per far conoscere tuo figlio a suo figlio. E scopri che se sei in carrozzella o hai un passeggino doppio, sono cavoli tuoi.

Tutto sommato, però, è quando pensi che, cavolo, quasi quasi qui ci vivresti.

mercoledì 5 gennaio 2011

La favola della buona notte

Da oramai due mesi si ripete sempre la stessa scena: prima di andare a dormire, piedi al caldo nel lettone e favola della buona notte. Ho provato con le più famose: cappuccetto rosso, biancaneve, cenerentola, ma a metà del racconto non mi ascoltano più.

Ecco quale “favola” riesce a tenere desta la loro attenzione.

“Quando siamo andati a casa dei nonni (a novembre), il nonno Lucianone ha fatto le castagne. Prima il papà, la nonna Pierina, la nonna Silvana, la nonna Maria, il nonno Gianni hanno tagliato le castagne che se no scoppiano.”
Edo: e e e la nonna Daniela?
“Io e la nonna Daniela eravamo in casa a preparare il pesce per la cena. Poi allora, quando le castagne erano tagliate, il nonno Lucianone ha acceso il fuoco, fuori”
Edo: e e e io ho fatto la nanna, poi mi sono svegliato e dicio: ciao, ciao! mi sono svegliato! ho fatto uno schezzo, ah ah ah
“si, e quando vi siete svegliati siete usciti”
Edo: con il pipap (pick up) e e e ho caricato le castagne sopa
“si, e poi il nonno Luciano ha messo le castagne sul fuoco. La pentola aveva i buchi sul fondo e un manico lungo per non scottarsi. Poi quando erano cotte le abbiamo tolte e messe in uno straccio"
Edo: e la nonna ha fatto così così così (ha agitato lo straccio per togliere le bucce)
“esatto, e poi le abbiamo pelate per mangiarle!
Giorgio: e poi è arrivato Giacomo (sono abbastanza affascinati dal cuginone... quello atto atto che non mi icoddo bene come si chiama)
Edo: e anche la Camilla e lo zio Bicco e la zia Nadia. Che era il compleanno della Camilla e abbiamo mangiato la torta
Giorgio: si, io vicino alla mamma
Edo: io a Giacomo e alla nonna Silvana

Il grado di partecipazione dipende dalla serata come anche l'entità della lite su chi ha mangiato più torta.

lunedì 3 gennaio 2011

Momenti di trascurabile felicità

Durante le vacanze di natale metto lì una pila di libri da leggere e poi, tutti gli anni, ne leggo al massimo due, di solito quelli più corti. Quest'anno è toccata al nuovo libro di Francesco Piccolo, che ha il titolo di questo post.
Mentre lo leggevo, ho vissuto anch'io uno di quei momenti di trascurabile felicità. Anzi, lo vivo tutte le volte che porto l'auto al lavaggio.


Io la macchina la lavo ai rulli, all'automatico, per fare presto e spendere poco. Pure la macchina la lavo poco, ma questo è un'altro discorso.
Quando arrivo al lavaggio automatico si avvicina l'omino e io lo faccio salire sulla macchina perché lui è più bravo a indovinare le corsie dove esattamente si devono incastrare le ruote. E poi mi piace vederlo incasinarsi col cambio automatico e tutte le diavolerie elettroniche che i francesi, maledetti, hanno infilato nella mia macchina.
Poi lui scende, io pago e aspetto che i rulli facciano il loro lavoro, per riconsegnarmi la macchina lavata abbastanza bene e asciugata abbastanza male.
Dopo pochi secondi, appena la macchina è aggredita dagli spruzzi, schiaffeggiata dagli spazzoloni, inizia ad assalirmi un pensiero terribile: avrò chiuso i finestrini?
Di certo non ho verificato che lo fossero. 
Aspetta, quelli posteriori erano senz'altro chiusi, e anche quello del passeggero. Ma il mio? Il mio non mi ricordo... Provo a ricordarmi che cosa ho fatto appena arrivato al lavaggio. C'erano due macchine in coda, poi è toccato a me. E lì ho fatto senz'altro la cazzata. L'omino si è paventato e io, per forza, ho aperto il finestrino. Si si, l'ho aperto, è un riflesso automatico, come dal distributore, il pieno di diesel grazie, no non la diesel speciale, quella normale,
L'ho aperto e non l'ho richiuso, ecco cosa ho fatto. Ed ecco quello che penso per i successivi cinque minuti, mentre la macchina, penso, sta imbarcando litri di acqua e io sono qua fuori e neanche riesco a vedere se il finestrino sia aperto. L'unica speranza è di averlo aperto poco.
In realtà spero anche che l'omino abbia verificato lui la chiusura dei finestrini, in uno slancio di bontà - in questo caso - natalizia. Impossibile, dopo averlo fatto litigare con la vettura transalpina.
Circa alla metà del percorso di lavaggio, ormai rassegnato a ritirare un'acquitrino di macchina, i miei pensieri virano verso le conseguenze. Ovvero: una volta ritirata l'auto, conviene fermarsi ed asciugarla con le apposite macchinette in dotazione all'autolavaggio, oppure è meglio salire facendo finta di nulla ed arrivare a casa infracicati ma evitando il pubblico ludibrio? La seconda senz'altro, penso. 
Anche perché a me quelli che lavano la macchina al lavaggio automatico e poi si fermano un'ora a lucidarla e asciugarla stanno un po' sulle balle. E' come se pranzi in cinque minuti al fast-food e poi passi la mezz'ora successiva a roteare nella boule remy martin del '91.
Ormai rassegnato, attendo all'uscita del mega parallelepipedo pensando alle successive tre ore a casa, armato di phon... la macchina arriva e, ovviamente ha tutti i finestrini chiusi, sigillati. Sempre, ogni volta.